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Piccole iscrizioni, grandi informazioni

L’arrivo di prodotti da dovunque ha cambiato il comune concetto di “fare la spesa”.

Piccole iscrizioni, grandi informazioni

Ci permette di conoscere e apprezzare cibi lontani e tuttavia ci espone. Espone la tenuta dei nostri parametri (di sicurezza alimentare, igienico-sanitari, economici…) mescolando le carte – cioè le merci – sui tavoli di acquisto e obbligandoci a essere preparati, perché l’offerta variegata non garantisce uniformi tutele per il consumatore.

Le normative europee e nazionali ci hanno dotati di un’arma strategica: l’etichetta. Un importante traguardo, raggiunto nel 2011 con un regolamento europeo (UE n.1169), sancisce l’obbligo di dichiarare l’origine di specifiche categorie di alimenti (frutta e verdura; pesce; vini e bevande alcoliche; uova; miele; olio d’oliva; carni bovine; pollame; carni suine; carni ovine e caprine) che deve sempre essere dichiarata su etichette e cartellini: è un vostro diritto, esigete chiarezza!

Prendiamo, per esempio, i timbri delle uova. La prima cifra (da 0 a 3) indica la tipologia di allevamento (0 = biologico; 1 = all’aperto; 2 = a terra, ma al chiuso; 3 = in batteria, cioè in gabbie, anche sopraelevate, spesso molto anguste). Se per le prime tre tipologie la raccolta e il controllo sono effettuati a mano, quella delle uova 3 è eseguita automaticamente tramite nastri trasportatori che passano sotto le gabbie. Segue un secondo gruppo di lettere che indica il Paese, uno di tre cifre per il comune e la sigla provinciale dell’allevamento, specificato anche da un codice identificativo. Nella seconda riga la data di scadenza (per legge non superiore a 28 giorni dalla data di deposizione, che resta indicazione facoltativa). Non è poco per qualcosa di così piccolo e apparentemente insignificante.

Per i prodotti trasformati gli ingredienti sono citati in ordine percentuale decrescente: significa che se il primo non è quello che vi aspettereste, forse dovreste rivalutare la scelta. Più una lista è lunga e piena di nomi insoliti, più quel prodotto è stato manipolato, allontanandosi dal “naturale” proclamato sulla confezione. Gli additivi migliorano la conservazione, l’aspetto e il gusto, ma anche in questo caso l’etichetta (Reg. Ce n. 1999/2008) aiuta la vostra consapevolezza: una E li precede e famiglie di numeri li identificano (100 per i coloranti, 200 i conservanti, 300 gli antiossidanti, 400 gli addensanti).

Le date di scadenza si suddividono fra quelle tassative e quelle consigliate, indicate dal “preferibilmente”: significa che la salubrità del prodotto resta garantita, semmai è il profilo organolettico a cedere un po’. Sull’importanza di questa differenza si battono numerose associazioni contro lo spreco alimentare che, tramite App e sistemi di recupero, raccolgono prodotti in scadenza e li immettono in un secondo mercato, assistenziale ma soprattutto etico. Continuare a buttare tonnellate di cibo ancora commestibile è, di fatto, una delle drammatiche efferatezze del nostro tempo.

 

Elisa Azzimondi

 

 


[Fonti e materiali consultati: D. Bianchi, In etichetta; Gazzetta ufficiale Unione Europea L 304/18 del 22.11.2011; Unione nazionale consumatori (http://www.consumatori.it/)]

e se mi prende
il momento #chef?